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Carnevale 1960 a Santa Vittoria d'Alba, foto Maurizio Sartore

Nelle immagini gli allestimenti creati nel circolo di Santa Vittoria d’Alba in due foto di Maurizio Sartore del Carnevale 1960: il carro allegorico del Castello e il momento della mescita di vino locale intorno al carro della Baita dell’Alpino.  

Nel circolo

Ci si dava appuntamento nel circolo, e non al circolo, dove la preposizione indica e sottolinea una precisa quanto consapevole scelta, libera o forzata. Quel ‘s vughima ‘ntù circul dice che sei non solo invitato, ma atteso, convocato, arruolato, quale che sia il tuo ruolo o l’ordine del giorno previsto e tu, una volta dentro, devi dare il meglio di te.

Lo sa Giovanna, maestra della scuola per l’infanzia in pensione che, non senza nostalgia,

snocciola i suoi ricordi in proposito… Una voce che interpreta il sentire di molti.

La prima volta che Giovanna mise piede nel circolo era il giorno della prima comunione. Ogni anno, dopo un’interminabile cerimonia iniziata alle nove del mattino tutti i bambini e le bambine, rigorosamente divisi per sesso in doppia fila, esausti e a stomaco vuoto dalla mezzanotte (era ancora in auge il digiuno eucaristico) raggiungevano a fatica il circolo. Lì erano attesi da due lunghe tavole con una doppia fila di fori circolari sui lati lunghi. In ogni foro era sistemata una scodella di spessa ceramica bianca con filetto azzurro, qua e là scheggiata. All’arrivo dei bambini le scodelle erano tutte tristemente vuote anche se un certo profumo di latte caldo e cioccolato aleggiava nell’aria. Un po’ straniti per la lunga attesa, i bambini entravano cercando con lo sguardo e l’olfatto da dove provenisse quel profumino. Arrivati ordinatamente in fondo a ciascuna tavola, sotto l’occhio vigile di una coppia di altere suore a braccia conserte, prendevano posto armeggiando con pizzi e guanti bianchi indossati per l’occasione. Finalmente le ciotole venivano riempite e, alla buon’ora, lo stomaco riprendeva il suo compito.

Molti, come Giovanna, ricordano l’atmosfera presso il circolo in occasione dei preparativi delle funzioni religiose, soprattutto quelli per la processione del Corpus Domini. Era in uso raccogliere in paese sacchi e sacchi di rose che dovevano essere mondate del gambo, per poi raccogliere i petali profumati in una moltitudine di cestini in vimini che venivano disposti tutti allineati al fondo del locale, in ordine di grandezza. Occorreva armeggiare con attenzione gli steli con guanti di cuoio fuori misura e forbici, anch’esse troppo grandi, per le piccole mani. Fuori, intanto, la piazza cambiava volto e lunghi drappi rossi, bordati con lussuose passamanerie dorate, si alternavano a bianchi lenzuoli che ornavano finestre e balconi.

Grande fermento procuravano anche i preparativi del Carnevale. Il curato di turno aveva il compito di gestire i giovani. Aveva il suo bel da fare a districarsi tra le tavole di legno, le reti da pollaio, le forme di carta pesta e le latte di vernice che vorticavano nel circolo, nelle mani di una banda di ragazzi scatenati che, sull’onda dell’entusiasmo, si davano da fare per la costruzione dei carri allegorici. Contenuta la baraonda, il lavoro dava i suoi frutti e giungeva il momento di far uscire le opere d’arte dalla porta del circolo, per sistemarle sui rimorchi per la sfilata. Più di una volta è successo che quanto costruito con tanta passione non uscisse dalla porta e fosse necessario operare drastiche potature. Ma questo faceva parte del gioco.

   


Di semplice fattura, eppur con un tocco di sobria eleganza, il circolo è stato voluto nel 1912 dall’allora Parroco Don Giuseppe Rossello sull’onda ispiratrice di Don Bosco, in piena età giolittiana. A quei tempi, come oggi, costruire a proprie spese un edificio per gli incontri della comunità era – e rimane – segno di grande apertura mentale.

Si trova sul limite della piazza della chiesa, sul versante che guarda la valle del Tanaro e le Langhe. L’edificio è articolato su due piani, uno a livello della piazza e l’altro seminterrato. Nella sistemazione originale, al piano di sopra, ospitava un grande locale che consentiva riunioni di un gran numero di persone, mentre uno più piccolo aveva funzioni di deposito. 

Al piano di sotto trova ancora oggi posto un piccolo teatro in legno, molto semplice, non più in uso che conserva tutte le caratteristiche di un teatro classico, a cui è dedicata la storia: 

Il teatro dei cacciatori di ragni 


Si ringrazia il testimone del Roero Maurizio Sartore per la testimonianza e il racconto.

È caro a intere generazioni di cittadini. È conosciuto nella memoria locale più recente come l’oratorio ma prima si chiamava, non a caso, il circolo. Nella parlata dei più anziani è detto‘u Circul a dimostrazione della destinazione polivalente della struttura, che poteva anche distaccarsi dalle classiche riunioni di carattere confessionale.
PAROLE CHIAVE
LUOGO DELLA STORIA

DATA E LUOGO DEL RILEVAMENTO

R081, 2 dicembre 2021

Roero Coast to Coast

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