fbpx
Giuspa, al secolo Giuseppe Tarabra
Giuspa, al secolo Giuseppe Tarabra

Foto d’epoca di Giuseppe Tarabra, sullo sfondo si intravede la chiesa di Santo Stefano a Priocca.

Priocca chiesa di S. Stefano
Giuspa, al secolo Giuseppe Tarabra

Giuspa

Alto, asciutto, spalle ben dritte nonostante l’età. Pelle cotta dal sole dei campi, faccia seria, occhi buoni. Passo costante, camminata particolare, nota a tutti in paese, sostenuta dal bastone nero e nodoso a cui è unita l’immagine della Madonna di Lourdes incisa nel metallo.

Giuspa nasce il 25 luglio 1888 da Giacomo e Serafina Binello ed è l’unico maschio, dopo tre sorelle. Istruito fin da bambino alla fede e alla devozione in famiglia, frequenta la terza elementare a Priocca e completa il primo ciclo scolastico presso il Seminario Minore di Alba. All’età di sedici anni, al fianco di don Sicca, partecipa al cantiere della nuova parrocchiale di Santo Stefano, i cui lavori durano fino al 1908.

Una chiamata alle armi trasforma la sua vita per la prima volta. Da contadino si ritrova improvvisamente soldato ma, dopo tre mesi, è esonerato per motivi familiari e, il 21 gennaio 1910, tornato a Priocca, sposa Amalia. Nascono tre femmine ed un maschio.

Arriva la seconda chiamata alle armi. Questa volta è la Grande Guerra, venuta a sconvolgere la sua terra. Giuspa parte per il fronte, gli fanno indossare l’uniforme e gli affidano un fucile modello 91 con baionetta. Lui si rifiuta di sparare contro un altro uomo pur sapendo che, nel 1915, il Codice militare punisce quel rifiuto con la fucilazione, considerandolo renitenza e codardia. Per fortuna, o per volontà di Dio, il Cappellano militare lo invia come portaferiti nel 157° Reggimento Fanteria e così gli salva la vita.

Nel 1916 Giuspa è sul Massiccio del Pasubio, corre tra le guglie e gole delle Dolomiti per recupera i compagni feriti sul fronte, sotto il fuoco austriaco li carica sulle spalle e riporta in infermeria. L’8 ottobre, dopo un violento scontro, la fanteria italiana conquista l’Alpe di Cosmagnon. La strategia italiana è avanzare aggirando il Dente Austriaco da occidente ma tutti i tentativi dei battaglioni falliscono. Il 20 ottobre una tremenda bufera di neve pone fine a questa disastrosa operazione: muoiono sui due fronti circa 4 mila uomini. 

 

Fame, freddo, malattie: il 4 dicembre 1917 Giuspa e i compagni sono rinchiusi nelle prigioni austriache in Boemia. Il 6 gennaio 1918 scrive ai familiari: desideroso di vestito, camicia ed un libro di devozione. Mi raccomando che stiate tranquilli, regni tra voi la pace e la rassegnazione ai divini voleri. Io pregherò per voi.

Tra il 22 gennaio ed il 7 febbraio 1918 fa sapere di trovarsi in un campo di prigionia insieme a 15 mila miei fratelli, tra i quali una parte sono soldati prigionieri russi. Spero di avere il soccorso di voi e poi voglio star con la grazia di Dio sempre allegro e tranquillo.

Nella primavera del 1919 ritorna a casa. Lui, nato contadino con una solida la fede in Dio, la persona che non avrebbe mai voluto e potuto sparare a nessuno, riceve una medaglia di bronzo al Valor militare con la seguente motivazione: sempre distintosi in ogni circostanza, sebbene indisposto, sotto un intenso bombardamento nemico, con sprezzo del pericolo, zelo e coraggio, si recava a soccorrere i feriti trasportandone a spalla parecchi fino al posto di medicazione.


Nel dopoguerra la vita rinasce: lavoro, affetti, preghiera. Apre le porte della stalla per dare accoglienza ai mendicanti di passaggio, offre un piatto di minestra a chi lo chiede, presta soldi senza pretese sui tempi di restituzione, paga il medico agli indigenti, si fa carico delle spese di chi rimane solo e ringrazia Dio con preghiere e opere di misericordia, come gli aveva insegnato suo padre.

Nel 1940 riceve di nuovo un premio: il riconoscimento per gli atti di bontà compiuti. La notizia della sua generosità non sorprende la gente del Roero e raggiunge Papa Pio XII che invia a Priocca una sua fotografia con la dedica autografa: al diletto figlio Tarabra Giuseppe che nel culto dei poveri sapientemente compendia la pietà cristiana, impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione, sicuro auspicio dell’accoglienza a lui riservata dai poveri nei tabernacoli eterni.

Tre anni dopo, fermato dai soldati del governo fascista della Repubblica Sociale Italiana, risponde alla loro perquisizione mostrando la sua unica arma: la corona del Santo Rosario, da cui non si separa mai. Chi lo conosce pensa a lui come al santo della porta accanto. Come san Martino, dona giacca e cappello ad un viandante infreddolito incontrato per caso e moltiplica la sua generosità davanti alla miseria lasciata dalla Seconda guerra mondiale. Curage, coraggio, dice a chi soffre.

 

Generoso, devoto, umile. Giuspa compie tutto il viaggio della vita così, nella luce del Signore, a servizio del bene, portando nel cuore un segreto che svela,  in punto di morte, a suo nipote. Una storia di molti anni prima avvenuta sull’Alpe di Cosmagnon.

Accerchiato con gli altri fanti dalle truppe austriache il soldato Giuseppe Tarabra disobbedì agli ufficiali che ordinavano di avanzare. Urlò giù le armi e i compagni gettarono i fucili a terra. La resa fu immediata, così come la rabbia degli ufficiali.

La disobbedienza civile di Giuspa servì, in quella disastrosa operazione, ad evitare l’ennesimo violento massacro e conservò la vita di tutti quei soldati. La vita umana è sacra.

 

In pace con sé stesso le sue ultime parole sono preghiera:

 

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

 


Giuspa, al secolo Giuseppe Tarabra, è stato definito uno degli “spiragli di luce nelle tenebre di questi nostri tempi” da Molinari. Fu un uomo del Novecento e un disobbediente legato a Dio.

Si ringraziano Roberto Savoiardo per la completa testimonianza.

 

Un uomo del Novecento amato e ricordato dalla famiglia, dalla parrocchia, dalla comunità, dai compagni di guerra, dalle autorità, da tutti. Giuspa trova nella fede la luce per sopravvivere al male a cui assiste e il coraggio di compiere scelte difficili.
PAROLE CHIAVE
LUOGO DELLA STORIA

DATA E LUOGO DEL RILEVAMENTO

R097, febbraio 2022

Roero Coast to Coast

per partecipare

segnala una storia

invia una mail alla Redazione