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Modestina, protagonista di una storia di Santa Vittoria d'Alba

Immagini d’epoca di Modestina, la protagonista di questa storia di famiglia del Roero del Novecento.

Domani è lo stesso giorno

Magna Mode, abbreviativo di Modestina, era una bella ragazza che, negli anni del dopo guerra, abitava nella Villa di Santa Vittoria, l’abitato che, in costa, sovrasta lo stabilimento Cinzano e le sue storiche cantine scavate nella collina.

Modestina (Mode) all’epoca era poco più che ventenne ed era la seconda di quattro figli, due femmine ed un maschio, nati da mamma Margherita e papà Modesto, da cui aveva preso il nome. Modesto era un tipo d’altri tempi, uomo austero e tutto d’un pezzo. Un bel paio di baffi ottocenteschi incutono timore, ancora oggi, dalla foto ovale in ceramica che occhieggia al cimitero. Papà Modesto era riuscito a collocare la figlia in linea, alla Cinzano, sfruttando il suo ruolo di capo squadra del reparto distilleria.

Mode era uno spirito battagliero, quello che oggi definiremmo libero, era poco incline all’osservanza delle regole familiari. A poco erano valse le ramanzine di mamma Margherita (mia nonna) che, il più delle volte, viravano in punizioni anche pesanti usate per non fargliela passare liscia. Si arrivava fino alla passata di ortiche sulle gambe nude, a notte fonda, con un’improvvisa levata di lenzuola, quando Mode ormai sperava che la buriana fosse passata. Mamma Margherita era la classica donna di casa d’inizio secolo che aveva sulle spalle tutto il mènage familiare, la cura dei figli e dell’anziana madre Luigia in casa, come si usava allora.

Mode era cresciuta in casa con i fratelli Luigia, Maurizio e Maddalena e, poco remissiva qual era, aveva presto imparato a far valere le proprie ragioni.

Uno dei momenti critici della giornata era il risveglio. Occorreva scendere dal letto per andare al lavoro. La Cinzano non era molto distante, la casa era proprio al sopra della fabbrica, centocinquanta metri più in alto. Con un paio d’ali si sarebbe potuto atterrare planando direttamente sul tetto.

Ogni mattina Mode era dunque costretta a percorrere quelle poche centinaia di metri che la separavano dal posto di lavoro scendendo una ripidissima discesa tra il bosco e le vigne.

Il problema era scendere dal letto. È risaputo che, specialmente a quell’età, per molte persone rimanere a letto la mattina è una tentazione insuperabile: Mode era una di queste! Aveva un bel sbraitare mia nonna Margherita dal fondo della scala. La ragazza non sentiva ragioni, nulla si muoveva al piano di sopra. Benché ad ogni richiamo la madre salisse qualche scalino in più, per farsi meglio sentire (o temere), non si ottenevano risultati. L’unica cosa che sbloccava la situazione era il corno.

La fabbrica aveva in uso di suonare ‘l corn (il corno – una sirena) all’inizio di ogni turno di lavoro. Il primo suono era previsto dieci minuti prima ed un secondo all’effettivo orario di inizio delle attività lavorative. La prima nota del corno era l’unico spauracchio che obbligava Mode a saltare giù dal letto, darsi una sciacquata agli occhi al lavandino di graniglia in cucina, trangugiare un caffè più e più volte riscaldato, inforcare gli zoccoli in cui mamma Margherita (Ghitina) aveva prudentemente infilato un po’ di fieno per attutirne gli urti e uscire di casa. Nove volte su dieci era inseguita dalla mamma che le portava il fagotto con il pranzo dimenticato quotidianamente sull’angolo del tavolo.

Un buffetto a Sòli (Joli letto nella traslitterazione piemontizzata), il cane, che stava legato con la catena al fico in cortile. Sòli giusto arrivava a raccogliere l’unica carezza della giornata, patendo anche lui dei modi barbari che usava Ghitina, soprattutto con gli animali.

Mode imboccava il sàpel di Racca, il percorso che faceva due volte al giorno, in discesa al mattino e in salita alla sera, dopo una giornata di duro lavoro. Il sentiero ero stretto e ripido, ricavato dal semplice e ripetuto passaggio che, per la morfologia del terreno a strette curve consecutive, era chiamato i virulin (serie di piccoli e stretti tornati)La pendenza accentuata comportava l’aumento costante della velocità che Mode appena controllava con l’aggrapparsi continuo alle piante sul percorso e in ultimo ai pali di testa delle vigne, per diminuire l’energia cinetica accumulata. Le teste dei pali avevano assunto un aspetto lucido per il continuo sfregamento. L’uso quotidiano aveva conferito a Mode un’estrema agilità nello scendere che le consentiva di arrivare in orario al fondo nonostante l’indugio a letto.

Sulla capezzagna che costeggia la ferrovia trovava le amiche Neta e Domenica, scese anch’esse per altri sentieri a valle, che si cambiavano gli zoccoli ed indossavano le scarpe più comode da lavoro nascoste, all’occorrenza, dentro un vecchio tinél (tino circolare in cemento) in disuso.

A passo svelto e tutte ansimanti arrivavano ai cancelli proprio durante a secunda curnà (il secondo squillo del corno) anche questo piuttosto incerto all’avvio, che sanciva l’inizio del lavoro.

Superata per un pelo la paura di entrare in ritardo, cosa che avrebbe procurato non poche discussioni in casa e sicure ritorsioni, le tre amiche ci avviavano al posto di lavoro iniziando una nuova giornata e una nuova chiacchierata che sarebbe durata per l’intero turno.

Il loro lavoro consisteva nel controllare un’interminabile processione di migliaia di bottiglie che,  accompagnate da un tintinnio implacabile, correvano sui nastri, dalla produzione al confezionamento.

Non era un lavoro faticoso, ma stancava la vista mentre la mente e la lingua erano libere di muoversi e, nonostante il rumore del reparto, si poteva chiacchierare di ciò che la giornata portava.

Un unico suono di corno segnalava la fine della giornata  e le stesse operazioni della mattina venivano fatte, in senso inverso, con maggiore calma. Ci si incamminava verso i cancelli senza aver smesso di chiacchierare, mettendosi in coda per le operazioni di uscita. I sorveglianti controllavano che tutto fosse in ordine. Mentre le amiche si congedavano, inevitabile era lo sguardo verso la rocca da salire, questa volta la gravità non aiutava più e una giornata di lavoro da portare in cima era certo pesante.

Mode, determinata com’era, non si lasciava intimorire, giovane e allenata saliva con una certa facilità. Verso la metà di solito, a seconda del turno, incontrava papà Mudest che, appesantito dagli anni saliva con maggiore fatica. Superandolo era investita da un particolare profumo che ben conosceva e che a tratti aveva preannunciato l’incontro: erano i profumi delle erbe e della spezie di cui era intrisa la tuta da lavoro del padre. Passava oltre senza fermarsi, rallentando appena e, appoggiando la mano sinistra sulla spalla quasi fosse un ulteriore punto di appoggio, riprendeva il suo salire snello, attendendo che papà ripetesse le ormai consuete raccomandazioni, una volta entrata in casa.

Mode, nuovamente ansimante, arrivava in cima e rallentava. Si calmava sistemandosi i capelli. Sòli già l’aveva sentita arrivare da un pezzo e guaiva, alla catena, innescando le ire di mamma Margherita. Due coccole, un poco più corpose di quelle del mattino, chetavano il cane che, accucciato, si godeva la grattatina sul capo. Richiamata al dovere la ragazza entrava in casa ed esausta si buttava sull’ottomana che cigolava all’urto. Non curante dei richiami della mamma, che già si erano susseguiti, riusciva a chiudere un attimo gli occhi pensando al letto abbandonato la mattina e a quei maledetti dui corn.

 

Domani è lo stesso giorno.

 

Maurizio Sartore

 


Si ringrazia il testimone e autore Maurizio Sartore.

 

Una donna, un giorno, una famiglia, il lavoro e la cultura di un tempo. È la storia di una giovane protagonista con una mamma di altri tempi, una famiglia del Roero del primo dopoguerra e un lavoro presso la fabbrica Cinzano. Suoni, colori, profumi e gesti di una generazione di uomini e donne del Roero del Novecento.
PAROLE CHIAVE
LUOGO DELLA STORIA

DATA E LUOGO DEL RILEVAMENTO

R073, 14 novembre 2021

Roero Coast to Coast

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